Che
genere di scienza
di Sara Sesti
Le donne e la scienza sembrano procedere su cammini distanti di cui per lungo tempo la storia ha ritardato l’incontro.
Come spiegare i motivi della scarsa presenza femminile nella storia della scienza, le defezioni che si verificano alla fine della carriera scolastica da parte delle ragazze o gli steccati nelle discipline “eccellenti”?
Le donne non amano la scienza? La scienza non si adatta alle donne?
Le vite delle scienziate sembrano dimostrare che è vero il contrario e che probabilmente sarebbe più corretto chiedersi perché la conoscenza e la pratica scientifica abbiano così a lungo e apertamente escluso il pensiero femminile.
Ovunque
abbiano avuto la libertà e il potere di farlo, infatti, le donne si sono
sempre occupate di scienza. Le donne libere,
potenti e sapienti di scienza, sono state a lungo delle eccezioni,
perché i luoghi di produzione del sapere (Università, Accademie) erano riservati agli uomini
e perché la storia ne ha cancellato i nomi. Spesso non avevano
un nome proprio, erano figlie, mogli, sorelle di astronomi o medici.
Nella scienza, ci sono stati molti momenti di rottura; ognuno ha segnato
l'inclusione o l'esclusione femminile, fino all'apertura in questo dopoguerra,
quando la scienza è diventata un'industria sempre più bisognosa di
mano d'opera.
Abbiamo documentato nelle nostre ricerche come sono procedute insieme,
scienza ed emancipazione femminile, attraverso un'incursione nel passato
alla ricerca di biografie di donne storicamente documentate, piuttosto che
con delle teorie. Ora le ricercatrici sono milioni, eppure la scienza
non ne è modificata, o non ancora:allora vogliamo capire se la presenza di molte donne,
a volte di una maggioranza come oggi in certe discipline, può cambiare
il sapere oppure se prevalga comunque il modo di produzione e il prodotto non cambi.

Levatrici
Qui con "scienze" s'intendono quelle dette esatte
o "dure", matematica, astronomia, fisica, chimica, biologia. Solo di sfuggita si
citeranno pratiche sociali in cui gli scambi con la scienza sono
incessanti, come la medicina e la tecnologia.
La medicina è anche un rapporto a due: le donne l'hanno sempre
praticata, anche se ridotte a levatrici, o bruciate come streghe (non
è facile per gli uomini, che non possono riprodursi da soli, rinunciare
al potere sul corpo femminile).
La scienza moderna è neutra nei suoi formalismi, negli strumenti
astratti o concreti che mette a punto per abbreviare il proprio lavoro
di indagine, ma è fatta da persone che neutre non sono. E quindi,
finché le donne non supereranno lo sbarramento costruito dagli
uomini e non arriveranno ad avere delle responsabilità reali, a
decidere degli orientamenti, delle priorità e dei finanziamenti,
è ovvio che la ricerca rimarrà maschile.

Lise Meitner
E' emblematica
la storia di Lise Meitner,
la fisica austriaca di origine ebrea che, insieme ai chimici tedeschi
Otto Hahn e Fritz Strassmann, ha scoperto la fissione nucleare in un istituto
di Berlino sul finire degli anni '30. Siccome Otto Hahn riteneva ancora
azzardato esporre la teoria di come fosse possibile spaccare un atomo
liberando una quantità inaudita di energia, è stata Lise
Meitner a scrivere su "Nature" una delle lettere più
celebri della storia della scienza, datata dicembre 1938.
La scienziata era scappata da poco dalla Germania nazista, trafugata
oltre frontiera da colleghi olandesi. Rifugiata in Svezia, rifiutò
di andare negli Stati Uniti a lavorare alla costruzione della bomba atomica.
Otto Hahn invece ha partecipato al progetto, fallito, di costruirne una
tedesca e dopo la guerra ha ricevuto il premio Nobel. Lise Meitner no.
C'è stato un periodo, nel femminismo degli anni '70 e dei primi
anni '80, in cui non si poteva parlare di Lise Meitner, perché
era ideologicamente escluso che il sapere che ha generato la bomba fosse
"nato di donna". In quello, ritroviamo ribaltata la stessa ingiustizia
che ha negato il premio Nobel a Lise Meitner. La sua mente, con grande
libertà, aveva osato pensare quello che non era stato pensato prima;
lei aveva letto con attenzione gli scritti delle scienziate che l'avevano
preceduta, Marie Curie com'è noto, e Ida Noddack. Aveva dato loro
la stessa fiducia che dava a se stessa (cioè tanta, infatti le
veniva rimproverato di essere cocciuta, troppo sicura di sé), più
di quella che davano loro gli uomini e ne ha tratto più sapere
di quanto ne avesse tratto per esempio un Enrico Fermi.
Lise Meitner non si era posta il problema dell'appartenenza di sesso.
A avrà riso quando, prima donna a diventare professoressa universitaria
in Germania, ha letto sui giornali dell'epoca che "l'esimia Professoressa
Meitner ha inaugurato l'anno accademico con una lezione di fisica cosmetica"
(invece che di fisica cosmologica). E avrà tirato dritto, mente maschile capitata
per caso in un corpo di donna. La sua biografa Ruth Lewin Sime non ha
trovato traccia di sessualità nella sua vita, ma solo profonde amicizie
con dei colleghi e fedeltà ai propri maestri.

Christiane Nusslein- Volhardt
Questa
"neutralizzazione" è frequente tra le scienziate più
brave. Alcune sono restie a concedere interviste alle giornaliste, per
evitare le domande "femminili": Rosanna Cester, la fisica che
dirigeva l'esperimento detto "Charmonium" e circa quattrocento
ricercatori al Fermilab di Chicago; la biologa molecolare Christiane
Nusslein- Volhardt, premio Nobel per la medicina nel 1995, e altre
ancora. E' vero che se lasciassero intuire che l'appartenenza di genere
prevale sull'appartenenza alla professione, ci rimetterebbero.
Una bio-matematica notevole, Evelyn Fox Keller,
ha perso credibilità scientifica dagli anni Ottanta, dopo che ha
usato il proprio spirito critico, tanto elogiato fino a quel momento,
per analizzare la situazione delle donne nella scienza. Oggi si ha l'impressione
di una maggiore tolleranza.
Negli ultimi vent'anni, le ricercatrici sono cresciute di numero, in particolare
nelle biologie molecolari - genetica, immunologia, neurobiochimica ecc.
- discipline in cui negli Stati Uniti sono circa il 49% e in Italia oltre
il 60%. Il dominio americano in questo settore in cui i brevetti possono
fruttare miliardi fa riflettere i vari Consigli nazionali della ricerca
negli altri paesi. E se gli Stati Uniti avessero successo perché
trattano meglio le donne (meglio: oddio, relativamente)? Se sono così
brave, anzi se solo quelle molto più brave degli uomini fanno carriera,
come dimostra la ricerca di cui si diceva all'inizio, perché rischiare
di perderle?
Invece in Europa si cerca di perderle: tutti gli studi fatti
denunciano una discriminazione da parte dei comitati prevalentemente maschili,
di valutazione delle ricerche e di erogazione dei finanziamenti. Ogni
denuncia suscita un breve scandalo: la scienza, così neutrale,
non sa misurare in maniera neutrale e obiettiva il lavoro delle donne.
In realtà, questo è solo un esempio che dimostra quanto
la scienza sia intrisa di valori e pregiudizi diffusi nella società,
e non un corpo estraneo.

Evelyn
Fox Keller
Il
sistema delle quote non garantisce di per sé un valore aggiunto
femminile, però la lotta per le pari opportunità delle femministe
americane ha avuto delle ripercussioni favorevoli sulla carriera delle
scienziate: basti pensare all'Agenzia spaziale NASA, noto covo di soli astronauti
fino agli anni '70, dove Eileen Collins è diventata comandante
della navetta spaziale e Donna Shirley ha diretto la missione Pathfinder
su Marte nel luglio 1998.
Nell'Unione Europea, studenti e studentesse di materie scientifiche sono
circa di pari numero; il 60% dei ricercatori nei vari rami della biologia,
per esempio, sono donne ma queste dirigono soltanto il 6% dei laboratori
che contano. Per spiegare questa disparità di carriera, scienziate,
storiche e sociologhe della scienza, hanno fatto varie ipotesi. Alcuni
motivi sarebbero interni alla scienza, ai suoi valori (oggettività,
neutralità), alle sue strutture (meritocrazia, competitività)
e alla sua organizzazione dei lavoro (grandi équipes, grandi impianti
da gestire in maniera quasi "militare").
Altre letture indicano un'arretratezza delle istituzioni scientifiche
europee, perfino nei paesi dove le donne hanno raggiunto la parità,
o quasi, come in Svezia. Nel maggio 1997 due neurobiologhe svedesi, Christine
Wenneras e Agnes Wold, hanno pubblicato su "Nature",
il settimanale scientifico inglese più prestigioso insieme all'americano
"Science", una ricerca su come il comitato direttivo dei
Consiglio per la Ricerca Medica svedese assegnasse i fondi alle varie
candidature. Siccome le valutazioni sono confidenziali, ma accessibili
per la legge sulla trasparenza della burocrazia, le due ricercatrici hanno
dovuto ricorrere ai tribunali, ma alla fine hanno avuto i documenti. Hanno
dimostrato con una rigorosa analisi statistica che "per ottenere
lo stesso punteggio di un candidato, una candidata deve essere 2,6 volte
più brava, aver pubblicato decine di articoli in più".
Per quanto riguarda i dati italiani rimandiamo alla ricerca di Rossella
Palomba.
Altre storiche e filosofe della scienza vedono un'incompatibilità
fra il processo riduzionistico della ricerca fondamentale e una concezione
femminile del mondo, in parte storicamente determinata, che tenderebbe
invece all'olismo. L'inglese Hilary Rose, pensa che le donne lavorino
più per amore che per denaro o carriera; l'italiana Paola Manacorda
che, relegate ai margini, siano più creative nelle zone di frontiera,
nelle discipline debuttanti e cita le pioniere dell'informatica come Grace
Hopper. Qualche volta, pensando a Lise Meitner viene in mente Virginia
Woolf. Rivendicava
per sé scrittrice "una mente androgina": e se gli scienziati, uomini e donne, facessero altrettanto?
Se fosse cosi, se la scienza fosse creativa soltanto per il postulato
dell'androginia, non cambierebbe il modo in cui si rapporta al mondo nemmeno
con l'ingresso massiccio di donne "di sesso femminile"
- come dice la disegnatrice PatCarra - per distinguerle da quelle inconsapevoli
della differenza di genere.
Potrebbe cambiare, se le donne, purché
"di sesso femminile" s'impadronissero dei posti politici
dove si decide su quale ricerca, per quale scopo; se intervenissero nell'anello
di retroazione che congiunge scienza e tecnologia. Infatti gli Istituti
nazionali di sanità americani, il più grande complesso di
ricerca biologica al mondo, si è finalmente occupato su grande
scala di prevenzione e terapia di malattie più tipicamente femminili
sotto la guida di Bernadine Healey.
In Danimarca, nel 1995 è diventata ministra della ricerca Jytte
Hilden, e ha notato che solo l'1 % dei fondi pubblici andavano a progetti
proposti da donne. Ha fatto affiggere dei manifesti nei luoghi pubblici
pubblicando soltanto questo dato: i suoi concittadini si sono talmente
vergognati (conosciamo altri paesi in cui gli uomini si sarebbero rallegrati)
che nel 1997, la percentuale era salita al 16%.
Di
solito, il riconoscimento di uguale valore alle donne si cerca attraverso
le forme politiche della democrazia. Ma la scienza non si esprime con
queste forme. E' una impresa collettiva, cumulativa, al suo interno il
dibattito libero è incoraggiato, ma non è né maggioritaria
né consensuale. Un solo dato, un solo scienziato possono rovesciare
l'edificio di sapere costruito dalla maggioranza che da quel momento cambia
strada. Non esiste la par condicio. Chi sostiene che la terra è
piatta non ha diritto di parola. Chi non usa gli strumenti di misura condivisi
nemmeno. Chi produce dati che nessuno può ripetere nemmeno.
L'eccentricità è benvenuta, ma dopo che si è dimostrata
la massima autorevolezza, la quale è per tradizione storica tutta
maschile. Anche perché spesso le donne diffidano dell'autorità
femminile.
E' il problema più grave e insieme quello la cui soluzione è
più ovvia: siamo noi a dover valorizzare e rendere visibili le
donne consapevoli di essere tali. Gli uomini non hanno molte ragioni di
farlo, ci rimetterebbero posti
di potere (anche se conosciamo parecchi scienziati che amano talmente
la propria disciplina da non volerla privare dell'intelligenza femminile).
La solidarietà femminile però sembra estendersi più
facilmente alle vittime che alle ambiziose. Perciò la visibilità
delle scienziate è scarsa: corrisponde all'incirca a quella reale,
a quella che noi elettrici, contribuenti, consumatrici, lavoratrici, concediamo
loro - non a quella stabilita da leggi sulle pari opportunità -
nella società e nella vita quotidiana.
|